Literatura & Psicología

11.2.19

Poesía para deconstruir

Este cuento no se ha acabado, E vissero infelici e contente (Ediciones Morgana, 2019), de Silvia Favaretto.

Desde la primitiva época en que el ser humano se hizo consciente de su propia existencia –al contemplar azorado el poder de la naturaleza –, sintió la necesidad de narrarse. El mito fue la forma que la joven psique encontró para enfrentarse a la posibilidad de estar sola ante el inmenso vacío del tiempo. El padre sol, día a día, renovaba la vida mientras la madre Tierra era fecundada por la lluvia. Ante el miedo latente de que los dioses olvidaran sus quehaceres, hombre y mujer hicieron rituales, cantos y ofrendas para mantener los ciclos vitales. Ahí, en esa infancia de la humanidad, nacieron las imágenes primordiales que darían lugar a los arquetipos. Y fue la literatura oral la primera en recoger el mito. 

La civilización, en sus dos vertientes originarias, en Mesoamérica y en Mesopotamia, tuvo la naturaleza y la sexualidad femeninas como sagradas. Al paso de los siglos, los númenes fueron expulsados de la mente por la racionalidad. El empobrecimiento de los símbolos, especialmente aquellos que representan la psique femenina, corrió paralelo a la explotación de la Tierra. “No es ninguna casualidad –señala Clarissa Pinkola Estés– que la prístina naturaleza virgen de nuestro planeta vaya desapareciendo a medida que se desvanece la comprensión de nuestra íntima naturaleza salvaje”. 

Los cuentos de hadas han sido uno de los vehículos del inconsciente para conservar el símbolo. Pero, dado que princesas y brujas, en su largo camino hacia la posmodernidad, fueron mutiladas para volverse figuras maniqueas y no duales, seres incompletos y no portadores del inmenso poder creador-destructor de las mujeres, ha sido necesario que seamos las mismas mujeres quienes tomemos el símbolo y lo revitalicemos. Es el ejercicio, lúcido y no carente de riesgo, que hace la poeta y artista visual veneciana Silvia Favaretto en este libro. El riesgo consiste (como, ya, la misma autora lo comprobó al exponer su obra) en remover las aguas del inconsciente, tan pudorosamente aquietadas por el sistema.

Es así como Este cuento no se ha acabado, que en italiano lleva el título de E vissero infelici e contente se inserta en la labor de deconstrucción necesaria en nuestra sociedad globalizada para reintegrar los arquetipos femeninos a su lugar sagrado y, al unísono, dejar de depredar la Tierra. 

Nos encontraremos en estas páginas a muchas de las princesas de los cuentos con las que crecimos, pero nos narran otra versión de la historia. Así, por ejemplo, vemos una Blancanieves que no es tan blanca y admira secretamente a su madrastra –¿por qué habríamos de estar en guerra entre nosotras?– y a una Bella que, lejos de intentar huir, se entrega con placer al amor salvaje: ¿Quién quiere un príncipe / si puede tener una bestia?

Los poemas, escritos con esmero y una buena dosis de refinada ironía, nos ofrecen la posibilidad de integrar las distintas facetas de lo femenino al margen del estereotipo. La autora, además, en su labor de traductora, ha concebido el verso en su lengua madre, el italiano, y –pensando generosamente en Latinoamérica– en español. Celebremos, pues, la vida y la feminidad en toda su fuerza a través de la poesía.


Poesia per de-costruire


Dalla primordiale epoca in cui l’essere umano è divenuto cosciente della sua stessa esistenza – contemplando spaventato il potere della Natura -, ha sentito la necessità di raccontarsi. Il mito è stato la forma che la giovane psiche ha trovato per affrontare la possibilità di trovarsi da sola di fronte all’immenso vuoto del tempo. Il padre Sole, giorno dopo giorno, rinnovava la vita mentre la madre Terra veniva fecondata dalla pioggia. Di fronte al timore latente che gli dei dimenticassero i loro doveri, uomini e donne inventarono rituali, canti e offerte per mantenere in moto i cicli vitali. Lì, nell’infanzia dell’umanità, nacquero le immagini primordiali che avrebbero dato luogo agli archetipi. Ed è stata la letteratura orale la prima a raccogliere il mito.

La civiltà, dai suoi due versanti originari, in Mesoamerica e in Mesopotamia, ha considerato la Natura e la sessualità femminile come sacre. Col passare dei secoli, i numi sono stati espulsi dalla mente da parte della razionalità. L’impoverimento dei simboli, specialmente quelli che rappresentano la psiche femminile, avvenne parallelamente allo sfruttamento della Terra. “Non è un caso –segnala Clarissa Pinkola Es­tés– primordiale natura vergine del nostro pianeta stia sparendo man mano che sparisce la comprensione della nostra intima natura selvaggia”.

Le favole sono state uno dei veicoli dell’inconscio per conservare il simbolo. Tuttavia, dato che principesse e streghe, nel loro lungo cammino verso la postmodernità, sono state mutilate per divenire figure manichee e non duali, esseri incompleti e non portatori dell’immenso potere creatore e distruttore delle donne, è stato necessario che fossero le stesse donne a raccogliere il simbolo e restituirgli vita. E’ l’esercizio, lucido e non carente di rischi, che fa la poeta e artista veneziana Silvia Favaretto in questo libro. Il rischio consiste (come, la stessa autrice ha già sperimentato esponendo la sua opera) nel rimestare le acque dell’inconscio, così pudicamente mantenute calme dal sistema.

E’ così che Este cuento no se ha acabado, che in italiano si intitola E vissero infelici e contente  si inserisce nell’opera di de-costruzione necessaria nella nostra società globalizzata per reintegrare gli archetipi femminili al loro luogo sacro e, all’unisono, smettere di depredare la Terra. Ritroveremo in queste pagine molte delle principesse dei racconti coi quali siamo cresciuti, ma ci narrano un’altra versione dei fatti. Così, ad esempio, vediamo una Biancaneve che non è così bianca e ammira in segreto la sua matrigna perché dovremmo essere in guerra una contro l’altra? –e una Bella che, senza alcuna intenzione di fuggire, si abbandona con piacere all’amore selvaggio: Chi vuole un principe/ se può avere una bestia?


Le poesie, scritte con accuratezza e una buona dose di raffinata ironia, ci offrono la possibilità di integrare le diverse sfaccettature del femminile aggiungendole a ciò che hanno ridotto a stereotipo. L’autrice, inoltre, dedicandosi alla traduzione, ha concepito i versi nella sua lingua madre, l’italiano, ma pensando anche generosamente all’America Latina, in spagnolo. Celebriamo, dunque, la vita e la femminilità in tutta la sua forza attraverso la poesia.



Traducción al italiano / ilustraciones: Silvia Favaretto.

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